mercoledì 4 dicembre 2013


Vauro contro Dario e le domande retoriche

Quando una persona intelligente attacca un'altra persona intelligente solo perchè non la pensa come lui mi si attacchina la pelle.

Quella che segue è la lettera che Vauro a fatto pervenire a Dario Fo. Due grandi creativi della satira e due comunisti in purezza che non meritano di essere protagonisti di questa puerile disfida da tifosi con pensiero curviforme della peggior specie. Io li stimo tutti e due; Vauro per le sue sagaci sferzate di carboncino e matita, per il suo impegno con Emergency e chissà per quante altre azioni di sinistra che quasi sempre condivido. Dario lo amo come mio maestro di teatro con il quale e grazie al quale ho calcato le tavole del teatro della gioventù di Genova e della storica Palazzina liberty di Milano. Non tanto per il Premio Nobel che talvolta viene conferito a degli stronzi e  in troppi casi per motivi macropolitici. Una stima e una gratitudine profonde per aver fatto capriolare nel mondo dei perbene tutti i clown, i cantastorie, i reietti del teatro e della musica che, finalmente e anche grazie a lui potranno essere seppelliti in terra consacrata. Per quanto vale.

Per questi motivi di stima la lettera di Vauro a Dario mi irrita profondamente e senza voler scomodare Gramsci mi fa pensare che "prendere partito" non significa smettere di pensare, ma mettere il cervello al servizio della propria liberta di pensiero e d'azione, anche scegliendo da che parte stare, se la si ritiene a ragion veduta quella più giusta.

Ed ecco a voi il testo della lettera indirizzata da Vauro a Dario Fo; una lettera alla quale, impropriamente, mi permetto di rispondere, sconsigliando Dario dal farlo; anche perchè la sua risposta è già disponibile nello scrigno delle sue azioni e della sua coerenza di militante della libertà.

Caro Dario,

ma che ci facevi su quel palco?


"Dobbiamo vincere e vinceremo"
. Che brutte parole. Sì, certo, c'era anche la parola "rivoluzione" che ti piace e piace anche a me. Però non è rivoluzione strillare che tutti sono morti, cadaveri. E se lo è non mi piace. Non mi piacciono i portatori di verità assolute ed indiscutibili, non mi piace chi non ha dubbi e non mi piacciono nemmeno le piazze quando non sanno che ripetere le parole del capo. Ecco sì, le parole del capo. Condivido rabbia e sdegno ma non posso condividere parole macabre e di macabra memoria.

Tu credo mi possa comprendere perché sai meglio di me quanto le parole siano anche contenuto. Allora scusami Dario per quello che ti chiedo. Ti chiedo di scendere da quel palco Compagno Dario. Scendi per favore.


Con l'affetto e la stima di sempre,

Vauro, 02/12/2013




Secondo la mia "pallida idea" risponderei così:


Il peso delle parole, caro Vauro, dipendono da chi le pronuncia e solo l'idea di un confrontro tra Dario e Benito mi suona bestemmia e questo con le dovute differenze vale anche per Beppe Grillo.

Per ciò che riguarda le "verità assolute" sono d'accordo con te. Preferisco i dubbi. Ma quando fai politica in una piazza piena di persone incazzate non puoi limitarti a smacchiare bestie feroci o sospirare prodiane e nefaste probabilità di indefiniti successi. DEVI cogliere l'animus del tuo interlocutore, seguace o no, e scegliere di colpire allo stomaco e muovere al vomito. Un sano conato è infatti, almeno secondo me, l'unico rimedio per superare l' indigestione di cacca spacciata per cioccolato purissimo.

Grazie comunque per il consiglio di scendere dal palco di Grillo; ma dopo aver calcato tutti i palchi del mondo passando per Teatro, cinema, televisione, musica, letteratura e arte figurativa, posso permettermi il lusso di scegliere il palco ne quale decidere di calcare le mie idee.

Grazie per l'attenzione che hai voluto dedicarmi e per i consigli, certamente pieni di buona fede.
Con immutata stima e sincero affetto.


Mario Morales Molfino
Uno che ha scelto la Comunità in alternativa al Comunismo, La Socialità  piuttosto che il Socialismo. L'accento sulle A anzichè l'inconcludenza degli ISMI.







martedì 3 dicembre 2013

Perche' mi sono iscritto al Movimento 5 Stelle?

La situazione politica in Italia sembra un girone dantesco. Non ci si capisce più nulla da anni e sono mesi che rifletto su cosa votare, impegnarmi e dare il mio umile contributo di cittadino: "UNO VALE UNO".
Dopo circa quarant'anni di riflessione in cui mi sono rifiutato, in coscienza, di votare, scegliere e sostenere il male minore. Oggi dopo aver passeggiato in mezzo ai ragazzi del VAFFA DAY del primo dicembre ho deciso di aderire al Movimento cinque stelle. Mi sono sentito come quanto a 17 anni presi la prima e ultima tessera. Quella della FGCI. Sono passati poco meno di cinquant'anni e ho ritrovato lo spirito pulito e sincero di quelle bandiere. Bandiere che cambiano di colore e che portano con se il desiderio di libertà, giustizia e uguaglianza di chi le stringe. Uomini e donne, giovani e anziani, nativi digitali e pensionati analogici aperti all'innovazione. Tutti insieme appassionatamente che vogliono lottare per affermare le proprie dee e non per le ideologie. Contro tutte le chiese della politica partitica e venduta alle lobbies dell'egoismo e del furbismo dominante.
Non so se Grillo e Casaleggio saranno perfetti, ma sento intorno a loro tanti cittadini come me che non puntano al dominio del potere, ma al potere per pulire. Per questo desidero partecipare con tutte le scarse energie, intellettuali e non solo, per dare me stesso al sogno di una idea che meriti di essere sognata.

E mi rivolgo direttamente a Beppe Grillo e a Gianroberto Casaleggio citando le parole di una canzone di Gianni Morandi: C'è un grande prato verde dove nascono speranze che si chiamano ragazzi, questo è il grande prato dell'amore.
Uno, non tradirli mai, han fede in te,
due non li deludere, credono in te,
tre non farli piangere, vivono in te,



quattro non li abbandonare, ti mancheranno.


E aggiungerei: cinque, non ti potranno perdonare.

Come potrete notare non ho citato De Andrè, Cohen o Brecht; anche per evitare di sposare grandi colonne della cultura ideologizzata, ma ho volato volutamente in basso sul prato pop calpestato dai semplici Cittadini.

Un saluto anche a Dario Fo. Il magnifico  Caronte che mi ha aiutato a Traghettare il mio pensiero verso il mondo di 5 stelle; così come tanti anni fa, in Palazzina Liberty, a Milano, mi sospinse con Franca verso il teatro e la musica libera.

Grazie Dario e Grazie a tutti i ragazzi di ogni età che quel 1° dicembre mi hanno conquistato in quella  Piazza della Vittoria che ribattezzerei Piazza dell'Utopia.

venerdì 15 febbraio 2013

Caso Pistorius: gli sponsors condannano l’atleta paralimpico in tempo di record.

Il fatto ha girato il mondo in pochi minuti e i blog di tutti i grandi e piccoli giornali straripano di commenti; la maggior parte di condanna. Il populismo giustizialista colpisce ancora.
Il Corriere web, dopo il primo lancio del Telegraph, insieme alle notizie di cronaca nera che non vorremmo più di tanto commentare, scrive; “Adesso gli sponsor sono in fuga, ma appena l’estate scorsa alle Olimpiadi di Londra si facevano i conti su quanto valesse Oscar Pistorius. Su di lui c’erano anche gli occhi di tante imprese. Il numero delle aziende che gli garantivano sponsorizzazioni erano Nike, Bt, Oakley, Thierry Mugler e Össur, per un totale di 2,56 milioni di euro.
Intanto, di fronte al crescente sospetto che l’omicidio non sia stato il frutto di un tragico equivoco, gli sponsor dell’atleta, il primo amputato a correre nelle Olimpiadi dei normodotati, si dileguano. Una tv via cavo sudafricana ha deciso di ritirare la campagna di spot pubblicitari per la ‘copertura’ degli Oscar con il volto dell’omonimo atleta.
Dal sito di Pistorius, inoltre, è stato rimosso un banner della Nike. Il 9 agosto scorso Pistorius era l’ottavo sportivo più pagato dagli sponsor”.
Tutti noi che frequentiamo questa community e ci occupiamo di branding sappiamo quanto valga e renda uno sponsor internazionale come Oscar Pistorius. Riconosciuto e accreditato come super eroe positivo a livello planetario. Sappiamo anche quanti danni possa provocare ad un grande brand  un personaggio come Oscar Pistorius che entra nella storia dello sport come mitico campione e ne esce entra come assassino volontario.
Ma senza voler entrare nel merito per stabilire innocenza o colpevolezza, se omicidio o tragico incidente, ho la sensazione che così come con troppa superficialità si investe su uno sponsor, non tenendo conto che é anche una persona, con altrettanta rapidità ci si smarchi, ancor prima di aver capito e chiarito le sue responsabilità. Ma in questo periodo in cui incombe dall’ovunque il giustizialismo populista, si taglia la corda a tempo di record da chi fino a ieri chiamavi eroe, fratello, amico… e chi più ne ha e più ne metta. Una modalità da “tagli orizzontali” che, almeno secondo me, non illumina gli uffici marketing delle grandi majors multinazionali coinvolte. Protagonisti del rutilante mondo della comunicazione ipermediale che forse per vile comodità e faciloneria non si fermano a valutare quale può essere la mossa strategica economicamente più utile e magari, anche umanamente ed eticamente più conveniente. Certo è più facile darsela a protesi levate. Business it’s business docet.
Con questo non voglio dire che se Pistorius é colpevole non debba pagare i sui conti con la giustizia e con la società, ma un poco di buon senso consiglierebbe di approfondire la differenza tra Incidente, fatalità e omicidio volontario. Soprattutto quando il reato di cui é accusato non ha nulla che fare con il motivo per il quale è diventato un super eroe.
Ma vorrei fare due considerazioni non di riporto: Johannesbourg è una città in cui ho bazzicato per lungo tempo e posso personalmente confermare che il problema della sicurezza personale è spesso e malvolentieri vissuto come un incubo, certamente capace di ossessionare, soprattutto una persona che si sente fisicamente indifesa. Una realtà imparagonabile persino ai peggiori quartieri emarginati e malavitosi che conosciamo in Italia. Scampia e Via Prè sono un allegro luna park al confronto. Mentre la polizia sudafricana postapartheid, non brilla certo per qualità dell’intelligence investigativa.
Consiglierei quindi qualche ora di riflessione prima di sparare condanne come fossero bignè alla crema e poi, sulla base dei fatti provati o almeno evidenti, deciderei se togliere, come e quanto, la fiducia a chi fino a ieri onorava ed elevava a mito i grandi  marchi dello sport, trasformandoli in  brand eroici.

giovedì 10 gennaio 2013

Da Philip Kotler: 2013 e Marketing 3.0

L’Italia é uno strano paese e le vicende degli ultimi anni lo mettono sempre più in risalto. Sarà la superficialità o l’individualismo sfrenato degli italiani, ma in questo Paese non si riesce a far tesoro dei buoni esempi e a staccarsi dai vecchi modelli acquisiti e consolidati, al massimo e con risultati devastanti si tiene tutto e ci si stratifica sopra le novità, evitando accuratamente di vagliare la qualità e selezionare il grano dal loglio. Il tutto a vantaggio delle etichette e dei contenitori, senza curarsi dei valore e dei contenuti. Questo approccio vale per tutto e quindi anche per il marketing. Una tecnica che dovrebbe puntare sempre più alla coralità e alle sinergie comparate e invece, come in un campetto di periferia, qualcuno lancia un nuovo pallone ed ecco tutti i players a corrergli dietro con gli occhi a terra senza guardare altro. E’ successo con la Rete e tutti dietro alla Rete senza tener conto di tutto quello che vi si era costruito intorno. Adesso si sta consolidando la socialnetworking vision ed ecco che tutti corrono dietro ai miracoli di Linkedyn, Twitter, Facebook e compagni. Non si fa che parlare di socialmedia marketing e pare che tutto il resto non conti più quasi nulla. Mentre la vera difficoltà é e sarà quella di integrare il tradizionale e l’innovazione, distillando una sinergia che potrebbe portare risultati davvero straordinari per la crescita sostenibile. Senza rottamare nulla se non le promesse impossibili e l’improvvisazione mascherata da improbabili inglesismi.
“Il marketing è un settore in continuo cambiamento, è molto difficile parlare del futuro. Credo che tutto dipenderà dalla digitalizzazione e anche da ciò che chiamiamo Big Data; potremo essere sempre più precisi e raggiungere in modo più efficace ogni persona con il messaggio giusto al momento giusto e nel luogo giusto, se sapremo di più sui nostri consumatori. Questo è il futuro”. Ecco l’ estrema sintesi del messaggio di Philip Kotler, il grande guru del marketing 3.0 che ci viene recapitatao dal World Business Forum 2012. Kotler ci spiega infatti quale sarà la naturale evoluzione del marketing al tempo dei social network, quella disciplina che lui stesso ha contribuito a fondare e che ha sempre definito in bilico tra arte e scienza.
Per il grande maestro del marketing, siamo già nell’epoca del Marketing 3.0 quella in cui i brand sono anche interessati al benessere del consumatore e a quello della società.
Continua Kotler nel suo intervento al WBF: “L’Italia ha dimenticato il marketing” mettendo in risalto che, forse per comodità, ma io credo anche per ignoranza degli operatori e della imprese, si sia puntato ancora una volta a premiare la quantità a discapito della qualità e della ricerca. In altri mondi il marketing è un propulsore dello sviluppo, mentre in italia é un sistema per sbarcare il lunario.
“I call center non sono marketing”, ci urla Kotler. “Essere tempestati di offerte a qualsiasi ora del giorno; a questo è stato ridotto il marketing, mentre il nostro mondo ha sempre più bisogno di bellezza, l’Italia deve offrirne un po’ della sua”. Come ricorderà chiudendo il suo applauditissimo intervento, ammonendo gli italiani: “Continuate a sfruttare i vostri tesori. Donate un po’ della vostra bellezza al mondo!”

Un augurio e un invito al quale anche io, nel mio piccolo mi associo, anche perché rinunciare alla nostra capacità endemica di capire e trasferire i volori del bello é un lento suicidio che ci porterà sempre più in basso verso un declino senza ritorno. E’ quindi agli uomini del marketing e della comunicazione 3.0 che mi rivolgo: puntiamo sull’arte, sulla cultura, sulla bellezza, sulla creatività e smettiamo di contare i grandi numeri. Solo facendo così imparereremo tutti a scegliere e a determinare il nostro futuro evitando di consumare per il gusto di farlo. Per un futuro che non sia più fondato sul “prendi i soldi e scappa”, come se la teoria dei Maya dovesse realizzarsi sempre il giorno dopo.

Mario Morales Mofino

martedì 14 ottobre 2008

Ma che mondo è mai questo?


Ogni qualvolta accadono fatti rivoluzionariamente negativi mi chiedo se servirà a qualcosa. La teoria della piena che passa distrugge e ripulisce selezionando il grano dal loglio. Tutte le volte ci ricado e tutte le volte mi rendo conto che la teoria non funziona più e la cacca sedimenta sulla cacca lasciandoci sovrastati dal putrido escremento, con esclusione di pochi eletti che possono volarci sopra senza neppure turarsi il naso.

Prendo a spunto la crisi finanziaria che sta terrorizzando il mondo, ma è solo uno dei tanti esempi.

Una operazione che mi piacerebbe definire di "antibiologia" finanziaria e che somiglia in maniera impressionante ai fatti che portarono alla tristemente famosa "sindrome della mucca pazza".
In quel caso i furboni diedero da mangiare alle mucche le mucche stesse polverizzate e dopo alcune belle scorpacciate di polvere di mucca, mista a minime parti di mangime vegetale, i poveri bovini cominciarono a morire impazzendo e causando, loro malgrado, stragi a livello mondiale.

Vi chiederete che cosa c'entra tutto questo con la nuova crisi planetaria dei mercati? Praticamente è successa la stessa cosa. Invece di dare da mangiare all'economia crediti garantiti i soliti, notissimi furboni, hanno mescolato abbondanti dosi di debiti nel mangime, inquinando il mercato mondiale del credito. E dato che l'economia del pianeta si fonda sull'equilibrio tra debito e credito...
La nuova follia di una realtà liberista in cui in pochisimi hanno la libertà di vivere troppo bene, contro una stragrande maggioranza che sta crescendo di giorno in giorno e non ce la fa più a vivere dignitosamente se non vendendo la propria libertà al miglior offerente.

Un mondo che sta in piedi su debiti e psicofarmaci.
Due gambe tremolanti ed instabili che ci porteranno con il culo per terra.

Ma la cosa più grave e preoccupante è che in tutti i casi, nessuno escluso, si continua a pompare il denaro di tutti per uscire dalle emergenze causate da pochi bastardi che diventano sempre più ricchi ed arroganti (in questo caso un milardo di miliardi di dollari, dollaro più dollaro meno) e non si vede nessun provvedimento per curare strutturalmente le malattie ormai endemiche di un sistema alle soglie del coma.

Aiuto. Se qualcuno ha qualche idea...parliamone.
Ma soprattutto cominciamo a fare qualcosa, ammesso che sia ancora possibile...
Ad esempio: cari signori della classe media con stipendi medi e mediocre cultura, invece di dover rinunciare forzosamente e molto presto ai surplus di auto, barche, ville, piscine, pellicce a Palermo e fuoristrada per strada, vacanze caraibiche, cellulari multitutto, schermi sempre più piatti e così via...non potreste cominciare a rinunciarci da domani. Prima che tutto vi crolli e ci crolli sulla testa? E' vero... in questo modo calerebbero i consumi e crollerebbe l'economia.
Ma perchè non è già crollata?
Io la risposta la conosco e rappresenta il ceppo di quel virus incurabile che si chiama egoismo sociale.
Una risposta che troverete nel titolo di una canzone dei nomadi: "MA NOI NON CI SAREMO!"
Auguri e figli zero.






martedì 30 settembre 2008

Miracolo! marketing e comunicazione diventano sostenibili



Sono passati ormai alcuni giorni dalla chiusura di Ring e dopo il meritato riposo post-evento e il tempo giusto per una riflessione a semi-freddo, posso fare il peso netto con alcune considerazioni.
Sono tante le cose accadute nella pancia gravida di Ring, liquido amniotico di una cultura che cambia e fluttua tra il materiale e l’immateriale, tra il concreto e il percepito, in un pianeta che sta sempre più stretto ad una umanità che si allarga a dismisura.
Sono tante le cose accadute nella pancia gravida dell’evento, liquido amniotico di una cultura che cambia e fluttua tra il materiale e l’immateriale, tra il concreto e il percepito, tra ricchezze e povertà assolute, in un pianeta che sta sempre più stretto ad una umanità che si allarga a dismisura.

Contraddizioni insostenibili


Un mondo schizofrenico in cui nel nord si muore di troppo cibo e troppa opulenza, mentre nel sud si muore per mancanza di cibo, di acqua e di diritti umani essenziali.
Di questo ed altro si è parlato nella grande arena del marketing e della comunicazione e, almeno a mio avviso, tra una plenaria, un focus ed un workshop, è accaduto un vero e proprio miracolo.“Quelli della comunicazione”, che per molto tempo sono stati considerati “markettari” venduti al miglior offerente, hanno dato uno straordinario colpo di timone alla visione del liberismo, più o meno selvaggio, per mettere in campo un approccio che tenga conto del business, della competitività e del profitto, ma depurate dalle tossine etiche che non hanno consentito e non stanno ancora consentendo una crescita equilibrata, che tenga conto soprattutto della vita e non solo di quella che riguarda una esigua minoranza.
Miracolo o miraggio utopistico?
Ed ecco che dal Ring di Lecce si proietta una visione che fa pensare al miracolo di San Francesco e il lupo e pare proprio che cominci ad emergere, sempre più forte e chiara, l’idea che se il lupo si mangia tutti gli agnelli, non ce ne sarà più per nessuno. Nè per i lupi nè per gli agnelli e neppure per l’erba, l’aria, la terra…
Ma la vera rivoluzione, se non si è trattato di un miraggio, è che tutto questo non è successo nell’arena di ambientalisti visionari o da quella di filosofi del bicchiere mezzo vuoto, ma dai rampanti e pragmatici uomini del marketing e della comunicazione. Un evento che ha parlato del futuro prossimo venturo, attraverso il confronto tra l’impresa, la pubblica amministrazione, i ricercatori, l’università, coloro i quali producono eccellenze e i guru della comunicazione e del marketing, protagonisti di aree diverse e di diverse generazioni. Tutti insieme appassionatamente nell’anello aperto di Ring, per confrontarsi, incontrarsi, scontrarsi. Mettersi in gioco e giocare a far quadrare i cerchi, per trovare insieme le proposte che offrano al mondo soluzioni equilibrate, realizzabili e condivisibili per uno sviluppo davvero sostenibile e non solo a parole.
Pensavo inoltre, a proposito di miracoli, apparizioni e miraggi, che la Madonna appare sempre in luoghi a sorpresa. Grotte, sperdute radure e misconosciuti supramonte e non certo nelle cattedrali del sapere nei centri cosiddetti deputati alla fede, che eventualmente lo diventano dopo. Proprio questo è successo anche per Ring. Un miracolo che si è manifestato in “periferia”. A Lecce, nel Salento, nell’estremo sud. Proprio dove lo sviluppo arranca, l’economia fatica e l’impresa viaggia in eterna salita. Ma forse proprio per questo si sente una gran voglia di voltare pagina, di dare una scossa alle vecchie pregiudiziali e far partire nuove energie per un viaggio che sa ancora di futuro, ma che nelle teste e nei cuori degli uomini del sud si prepara per diventare presente. Un presente di eccellenze, d’innovazione e di cambiamento per il quale vale la pena di lavorare…magari a partire dal Ring di Lecce verso il mondo e da next mediterranean verso l’infinito. Luoghi delle idee che vi invito a frequentare per seminare e raccogliere insieme un mondo migliore.

lunedì 28 aprile 2008

Birra Peroni: Made in Africa


Quanto tempo e’ passato da quando nelle assolate giornate di agosto, seduti sul muretto fronte mare di Bogliasco, sorseggiavamo con orgoglio adolescenziale il nostro beneamato “peroncino”, la bottiglia panciutella e marroncina che di sicuro fu la preferita dagli abbronzati eroi degli anni sessanta, muratori e contadini che ricostruirono l’Italia post bellica e liberata.

Adesso, nel 2008, dopo cinque anni dall’aquisizione del marchio di Isabella Peroni da parte della SabMiller di Johannesburg - South Africa, il mitico “peroncino” sbarca sui mercati bazarmarketing dell’Africa subsahariana, a partire dal Mozambico.

Merchandising perfetto e curatissimo, distribuzione capillare e puntuale, campagne pubblicitarie, a cadenza quadrimestrale, in esterna e su grandi formati luminosi.

A parte che tra poco, dopo Peroni e Alitalia ci venderemo anche la Ferrari e la fontana di Trevi, con Federico Fellini e Toto’ in omaggio, quello che mi ha colpito di piu’ e’ il vissuto della marca Peroni in Africa.

Ve lo ricordate il mood Peroni della “bionda che conquista”?

Le piu’ belle bionde del mondo che ci hanno fatto l’occhiolino da sempre, in Africa sparisce inesorabilmente. Sara’ perche le donne in Africa non sono affatto bionde come la Peroni, ma piuttosto scure come la Guinnes, o forse perche’ il vissuto di consumo e’ completamente differente, ma nella pubblicita’ di lancio della “nostra bionda” ci sono giovani uomini con facce da manager rampante e gessato italiano, tipo Vito Corleone nel Padrino di Puzo, mentre nella campagna di mantenimento si associa la Birra Peroni con il Design Italiano e a fianco del pack shot ecco apparire occhiali italiani, orologi italiani e altri lussuosi accessori di ogni genere. La headline dice perentoria: LA NUOVA MARCA DEL DESIGN ITALIANO”. Italian style, moda pura, brand esasperato...Con riferimenti al prodotto, al gusto, alla qualita’, al consumo...Zero. Nuova mica tanto se si considera che la marca e’ stata fondata nel 1848 e cosa c’entrera’ il design con la birra stento a capirlo, ma la globalizzazione produce anche questi prodotti di comunicazione che definirei parapsichiatrici.

Peraltro, si deve anche dire che l’Italia non e’ famosa nel mondo per le sue lager, piuttosto mediocri, ma per il suo Italian Style. Quello che pero’ mi chiedo e’ come si faccia a comprare, ma soprattutto a preferire di degustare un prodotto che si beve, solo ed esclusivamente perche’ si presenta come un fratellino minore di Ferrari, Armani, Valentino, Versace e company, che, come si sa, non si bevono affatto.

Di fatto la strategia funziona e in Mozambico fa gran moda ordinare una Peroni nei locali piu’ cool di Maputo. Dal Casino al Mundos, dal Surf a Perola...Tutti a bere con sussiego ed orgoglio il loro “peroncino” fresco (bem geladinho).

Detto questo, mi piacerebbe anche, perche’ no, avere un parere da voi della community di Comunicazioneitaliana. Sara’ che questa realta’ che ci proietta dal muretto di bogliasco alle terre di Mandela e di Samora machel e’ un prodotto della globalizzazione buona? o sara’ che le nostre buone cose italiane vanno lentamente svendendosi, a danno del nostro partimonio culturale che si sgretola e si dissolve nell’ignoranza globalizzata?


Sara’ che ci dobbiamo preparare a vendere Venezia all’Emiro arabo di turno e a vedere la lenta ma inesorabile trasformazione dell’Italia in una specie di disneyland della cultura e dell’arte nella quale si paghera’ un biglietto d’ingresso per visitare il Colosseo, il Museo di Maranello, la Galleria degli Uffizi e la torre di Pisa... con tutti noi a lavorare per ricchi turisti di tutto il mondo come attrazioni da baraccone, vestiti da antichi romani armati di daga, da gondolieri, Dogi, Poeti, Santi e Navigatori...Brr. Speriamo di svegliarci prima e buona Peroni a tutti.

In chiusura dell’articolo pubblico anche uno scritto del sociologo mozambicano Carlos Serra, in occasione della presentazione della Birra Peroni in Mozambico, Ovviamente tradotto dal Portoghese.

Bella, piacevole, piena di dolcezze, di colori divini, senza differenze sociali, ottimista, intrisa di storia e di storie incantatrici. Con la collaborazione dei piu’ prestigiosi opinionisti, la nuova rivista mozambicana “Positiva” annuncia in tre pagine, un avvenimento emblematico: l’entrata trionfale, dalla porta di Maputo della Peroni, la bella Birra italiana, la birra meravigliosa, la diva. La Peroni Nastro Azzurro ha dato spettacolo di se con una grande festa di presentazione a base di moda musica e arte, per conquistare il mondo che conta nella Capitale del Paese (Opinion leaders e opinion makers). E tutto questo, come sempre capita, con contorno di giovaotti e giovanotte danzanti e sculettanti con magliette e cappellini firmati. L’unico dubbio che ho e che cosa a a che vedere tutto questo con la poverta’ assoluta di cui soffre il Mozambico.

Salute a tutti e cin cin, mentre in mozambico si muore come le mosche e tra le mosche, per mancanza di acqua, di antiretrovirali, di danaro per comprare le medicine antimalariche e a causa di tutto, e non solo, l’aspettativa media di vita e’ al di sotto di 40 anni.



Mario Morales Molfino